Bruno Marescalchi è nato il 18 gennaio del 1905 all'Erbosa, una borgata in quel di S. Zaccaria (RA) discosta dall'agglomerato, ai confini con Pievequinta e S. Pietro in Campiano, da famiglia contadina.
Ancora bambino, come si usava in campagna, segue i genitori nei campi, aiutandoli coi suoi limitati mezzi nelle loro fatiche quotidiane.
Al temine degli studi primari, che a San Zaccaria si concludevano con la quarta elementare, l'insegnante sollecita i genitori a fargli continuare gli studi.
Vien da pensare quale sarà stata la lotta interiore di un padre, che in cuor suo covava la speranza di un aiuto materiale, sentirsi chiedere di rinunciarvi; non solo, ma affrontare anche le spese che la continuazione degli studi avrebbe comportato. Succedeva all'inizio del 900, quando ancora l'analfabetismo dilagava; eppure quel padre seppe rinunciare ai suoi disegni e preferire l'avvenire del figlio.
A dieci anni Bruno viene inviato a Pesaro, in un collegio condotto da religiosi, per frequentare la scuole superiori. Terminate le quali rientra in Romagna e si iscrive al corso di farmacia presso l'Università di Bologna. Conseguirà la laurea il 14 novembre 1930.
Ancora studente, orfano di madre dall'età di quattordici anni, amplia i suoi orizzonti culturali leggendo autori italiani e stranieri; non solo, assieme agli amici Giuseppe Valentini e Rino Cellini scorazza in bicicletta per le vie polverose del circondario per raggiungere a Campiano il futurista Bruno Corra, e Antonio Beltranelli alla Sisa, allora frequentata da Pratella e Spallicci, da Moretti e Panzini, e ancora da Gray, da Sem Benelli e da tanti altri; comincia così a interessarsi di cultura e tradizioni romagnole.
Orfano anche di padre prima di aver terminato gli studi, gli riesce di ultimarli pur mantenendo la sorella e la matrigna, dispensando lezioni private e adeguandosi ad altri impegni.
Lavoratore instancabile trova anche il tempo di scrivere articoli e racconti, pubblicati su giornali dell'epoca, e di produrre la sua prima commedia: "La burdéla incaieda", impostata nel 1929, quando aveva appena ventiquattro anni; un successo che perdura tuttora. Seguiranno, anno dopo anno, "La ca' d'Sidòri", "Giuvanino", "E' prem ledar", cui sappiamo partecipa come attore. Acquisisce a fine '32 la farmacia di S. Zaccaria e la gestisce solo fino alla primavera del '34.
Nel novembre '33 viene infatti nominato segretario della locale sezione del fascio. Anche in questa veste dimostra un comportamento educato ed intelligente; tanto che, anche per le sue ormai palesi altre qualità, viene richiesto in federazione. Vende allora la farmacia e si trasferisce a Ravenna; e qui ricominciano i suoi guai.
Era a quel tempo segretario federale a Ravenna l'ing. Gian Battista Vicari, anche lui giovane e uomo di cultura. I primi tempi sono eccitanti; ma quando poco dopo avviene un cambio ai vertici, idealista convinto, integro e probo qual'è, comincia a trovarsi a disagio. Tanto che, qualche tempo dopo, per uscire dall'ambiente, sebbene esentato dal servizio militare, si arruola volontario.
Si leggerà poi in una sua lettera che anche la sua produzione ne era rimasta coinvolta in quanto non ebbe più ragione di scrivere altri lavori per un malinteso senso di antiregionalismo che fece comodo a un gerarca locale che, per questo motivo e altri più gravi, non lo avrebbe mai più visto al suo fianco.
Destinato in Etiopia, vi contrae una malattia polmonare, causa della sua successiva malferma salute e poi della sua morte precoce.
Nel conflitto 1940-45 viene destinato al fronte greco-albanese; sebbene faccia parte del corpo sanitario, il suo comportamento è tale da rendersi degno di una croce di guerra al valore e di due croci al merito, una di queste riconosciutagli nel 1953. Superando gli esami in occasione di permessi e licenze consegue una seconda laurea: in chimica farmaceutica.
Rimpatriato per invalidità nel luglio '43, dopo il 25 di quel mese lascia definitivamente la Romagna. Si trasferisce a Bologna, con la sorella; in seguito agli screzi da questa subiti e alle minacce a lui indirizzate.
A Bologna condurrà vita grama, piena di stenti, senza salario fisso, "a Dio spiacente e a li nemici sui", nella continua illusione di vincere un concorso; stemperata solo dai successi conseguiti dalle sue nuove commedie, anche questi offuscati dalle inconsistenti, astiose, caustiche critiche riportate sulla stampa ravennate, che tarpano le ali e rallentano la nuova produzione di questa persona geniale quanto sensibile, pur tuttavia tanto prolifica.
Dopo essere stato pubblicista sotto diverse testate e critico teatrale con profonda capacità di giudizio, lo conosciamo come autore di almeno ventidue commedie in vernacolo romagnolo, che lo hanno reso famoso; di tre commedie in lingua; di due in dialetto bolognese; di alcuni radiodrammi; di racconti diversi, alcuni in una raccolta di sapore romagnolo, in parte autobiografici.
Le difficoltà della vita e l'esacerbarsi della malattia, concause di un'esistenza tutta in salita, lo porteranno a morire in ospedale, povero e dimenticato, tra atroci tormenti, il 24 ottobre 1966.